In viaggio alla scoperta dei DES/2

In viaggio alla scoperta dei DES/2
7 Settembre 2018 admin

In viaggio alla scoperta dei DES/2

 

 

Giovedì 6 settembre 2018 –
Ormai anche le sale riunioni hanno una cucina

 

Cosa è successo?


Rigorosamente dopo una tazza di caffè, qualche ora di sonno ristoratore che ci ha permesso di sedimentare tutte le informazioni avute, ci prendiamo un po’ di tempo per ripercorrere quanto visto il giorno prima e per cominciare ad abbozzare le prime sinergie fra i partecipanti. Dobbiamo inevitabilmente iniziare a ragionare sui DES a partire da questo gruppo, per poi coinvolgere altri… ma soprattutto cominciamo a prepararci a quanto andremo a vedere oggi.

 

La scelta è di quelle un po’ fuori dagli schemi.

Oggi si va a visitare uno degli esempi più discussi degli ultimi anni tra le operazioni di marketing a tema cibo su territorio italiano.. FICO Eataly Word arriviamo!

 

L’arrivo è impattante. Un mega parcheggio con “entrata a casello” e una lunghissima struttura davanti a noi ci fa pensare ad un enorme centro commerciale (anche se c’è chi dice autogrill). Avvicinandoci la sensazione non migliora: i podi per fare dei selfie con la scritta FICO non li dimenticheremo molto facilmente.

Ma è l‘ingresso principale a riassumere l’essenza di FICO: un muro di mele sponsorizzato Melinda con un motto: “In Europa ci sono più di 1200 varietà di mele… 1000 in Italia e 200 nel resto d’Europa, … per questo abbiamo fatto FICO.” . Ecco FICO è questo, una costante narrazione di biodiversità (c’è chi dice forse nemmeno troppa alla fine) riempita però con i migliori esempi di “enogastronomia industriale” d’Italia.

(ah, l’entrata è gratuita, ma il parcheggio e la visita guidata si pagano!)

 

Iniziamo la visita guidata, senza dire niente a Tania (la nostra ambasciatrice della biodiversità) in merito a cosa ci spinge a visitare questo spazio, così da poter carpire qual è la vera esperienza di un visitatore qualsiasi.

Ed effettivamente, la sensazione una volta entrati (colonna dei patrimoni unesco a parte) è abbastanza spettacolare. Un enorme mercato coperto pieno di ristoranti, pasticcerie, gelaterie, ma che vede anche la presenza di stalle e recinti con animali e piccoli appezzamenti di coltivazioni esemplari ed esemplificative, fino ad arrivare ai laboratori per bambini che imparano a fare la pasta o a cagliare il formaggio. Tanto per dare un’idea di quanto siano grandi gli spazi vi diciamo che un’interno parco di biciclette è messo a disposizione dei visitatori per gli spostamenti. I marchi collezionati sono quelli noti: Lavazza, Venchi, Baiocchi, ma anche marchi legati al cibo come Alessi, o molto legati al territorio come la Lamborghini.

La visita non dura molto, ma i km sono tanti da fare a piedi… e ammettiamo di aver assaggiato qui e lì qualche prelibatezza, dai confetti di Sulmona alle liquirizie Amarelli, che tutti consociamo bene.

Quello che stupisce di più della visita è il taglio “pop”  del tour: non viene raccontato niente di Bologna, niente del quartiere, niente dello stabile, quasi niente della genesi del progetto, ma viene continuamente declamata la bontà della cucina italiana e dei suoi prodotti… il tutto rafforzato da qualche aneddoto in merito a come si distingue un buon tortellino, e forse anche a qualche stereotipo.

Insomma, in ogni caso difficile non portare a casa un souvenir composto di colatura di alici e pasta trafilata a bronzo, pur consapevoli del fatto che siamo esattamente “caduti” nel loro obiettivo principale (comunque erano buone).

Nota a margine sono i marchi rappresentanti il Trentino: tolto Ferrari e Forst non c’era poi molto altro del nostro territorio.

 

Alla fine della visita non ci resta che sederci e farci guidare dal dott. Alessandro Pirani (esperto di innovazione con un phd in politiche urbane, si occupa di design di servizi e strategia. E’ partner di c.o. gruppo e policy analyst per il Milan Center for Food Law and Policy e Trustee di Future Food Institute.) in una analisi critica di questo luogo. Difficile è riassumere quanto detto, ma certamente gli elementi da tenere in considerazione sono che, come in ogni caso studio, ci sono degli elementi sia positivi che negativi da analizzare. Quindi quali sono i pro e i contro di FICO?

– semplifica dei concetti che non per tutti sono noti (biodiversità)
– è accessibile (abbiamo anche testato la fornitura di sedie a rotelle elettriche)
– aiuta a creare una cultura del cibo per chi non la ha ancora
– è un momento di svago (intelligente)
– ha dei laboratori interessanti per intercettare le scuole, mostra la filiera
– è un momento di crescita culturale del territorio
– prende in considerazione diversi target

– mostra solo una parte del prodotti e della cultura enogastronomica italiana
– non valorizza veramente la Biodiversità
– l’ambiente è artificiale, costruito
– non c’è vera professionalità, è una messa in scena del cibo
– è completamente orientato al business
– non è in relazione con quello che sta fuori dalla struttura
– è pieno di contraddizioni

 

La riflessione generale è: partendo dal presupposto che FICO è una piattaforma… perché non sfruttarla a nostra volta per qualcosa di buono? Qualcosa di sostenibile? Magari coinvolgendo la stessa Fondazione di FICO.

Oppure perché non provare a pensare a come prendere il buono di questa esperienza e riproporlo in piccolo in una città come Trento, puntando però veramente sull’eccellenza dei piccoli produttori?

 

 

 

Dopo un veloce pasto e l’ultimo giro esplorativo, soprattutto per provare le famose “giostre” tematiche interattive, eccoci di nuovo in viaggio alla volta della prossima realtà: la cooperativa agricola IRIS bio di Cremona. 

Al pastificio ci accoglie Mirko Cavalletto, socio finanziatore della coop. Mirko ci racconta da dove è nata la cooperativa:

Nel 1978, nove giovani, ragazze e ragazzi si uniscono ed iniziano a lavorare insieme nella pianura cremonese situata nel sud della Lombardia. Sono figli di braccianti, muratori, mungitori, manovali ed artigiani. Lo scopo iniziale è quello di lavorare la terra per la produzione di prodotti sani, senza l’uso di sostanze chimiche di sintesi,percorrendo gli insegnamenti dei loro padri, quando l’agricoltura rispettava l’ambiente, l’uomo e gli animali. Secondo i fondatori la cultura contadina doveva crescere, svilupparsi e diffondersi. Nel 1984 la IRIS si fonda ufficialmente come cooperativa agricola di produzione e lavoro, come proprietà collettiva e con lo scopo di coltivare esclusivamente biologico.

Iris cerca da sempre di promuovere un distretto che tenga insieme produttore e consumatore, i loro primi clienti sono infatti stati i GAS, e tutto questo è stato possibile solo con patti basati su rapporti fiduciari che trovano fondamento nelle necessità di stringere rapporti a volte anche vincolanti.

La rete di Iris si muove molto anche nell’attivare sinergie con le aziende. Solo per citarne una: èNOSTRA, : fornitore elettrico cooperativo, a finalità non lucrativa, che vende ai propri soci solo elettricità rinnovabile proveniente da impianti fotovoltaici, eolici e idroelettrici con garanzia d’origine…. Ma la vera sfida resta tessere sinergie stabili con i consumatori.

 

Iris ad oggi fornische 1000 GAS in, circa, 12 regioni, ma 1/3 della produzione è destinata ad altre aziende, perlopiù socie (Libera terra, Alce Nero, Viviverde Coop…), più i negozi specializzati.

Iris tenta di tenere insieme la definizione di industrializzazione (produce pasta per 80.000 quintali) e cooperativa (costruirà un centro di servizi e un nido aziendale, ha salvato 40 lavoratori dalla disoccupazione…).

Nel 2010 è anche nata la Fondazione IRIS con l’obiettivo di promuovere i valori intrinsechi che hanno portato la coop ad essere quello che è oggi: il valore del biologico attraverso anche l’educazione nelle scuole.

 

Il nostro viaggio finisce momentaneamente qui, ma ci vediamo ai prossimi incontri dedicati ai DES!
QUI trovate tutto il programma!

Ricordate, la DEStinazione è l’Economia Solidale! 😉