Workshop 28 settembre: “Come si comunica un DES?”

Workshop 28 settembre: “Come si comunica un DES?”
1 Ottobre 2018 admin

Secondo Workshop: 

“Come si comunica un DES?”

 

 

Venerdì 28 settembre 2018 – Bookique caffè – Trento

 

Il sole e un caldo decisamente fuori stagione ci accompagnano anche nel secondo workshop dedicato al mondo dei Distretti dell’Economia Solidale.

Questa volta siamo ospiti della Bookique, spazio delle politiche giovanili del Comune di Trento diventato un caffè letterario nel quartiere di San Martino (TN).

Introduce la mattinata di lavoro Manuela Gualdi della Segreteria dell’Economia Solidale Trentina, che porta i saluti di rito e ricorda il motivo per cui siamo tutti qui: costruire insieme un distretto in grado di portare valore aggiunto al nostro territorio. Segue Silva Floriani che invece porta i saluti da parte di Consolida – ente organizzatore del percorso DEStinazione Economia Solidale – e sottolinea come il mondo delle cooperative non possa e non debba essere il solo a costituire i DES, anche se può esserne motore e nucleo da cui poi sviluppare reti veramente efficaci.

Entriamo quindi nel vivo della mattinata di riflessione con i 30 partecipanti iscritti, dei quali colpisce sempre l’eterogeneità!

Dopo un breve rimando a quanto successo la volta scorsa, anche oggi la prima parte dei  lavori è dedicata alla presentazione dei 4 relatori coinvolti. Monica Margoni, facilitatrice e custode del metodo, prima di cominciare ci ricorda che le parole che ci devono accompagnare oggi sono: COME SAREBBE SE…

 

Elena Acerbi

Elena Acerbi è responsabile dell’ufficio stampa di Fiera fa la cosa giusta Milano e della casa editrice Terre di Mezzo. La Fiera, nata nel 2004 conta 700 espositori (realtà molto differenti che vanno dai piccoli ai grandi, dalle associazioni agli artigiani), più di 91.000 visitatori e 450 eventi.  Terre di Mezzo invece è passato dall’essere un giornale di strada a una media casa editrice, con circa una cinquantina di nuove pubblicazioni all’anno.

“La sfida annuale della Fiera è intercettare sempre nuovi potenziali visitatori a partecipare e contemporaneamente soddisfare le aspettative degli affezionati. Nella prima edizione avevano partecipato 14.000 persone. Un risultato inaspettato, anche se oggi siamo molti di più!

È un mondo che è cresciuto molto. Alcuni temi prima di nicchia (commercio equo, biologico, raccolta differenziata, veganesimo) sono diventati di interesse generale e scelte praticate da molti. Per lo stesso motivo sono diventati una grande occasione di mercato anche per i grandi player.

La fiera ha sempre cercato di essere all’altezza delle sfide che si presentavano, cercando di portare sempre innovazione per tenere alto l’interesse, senza tuttavia tralasciare i propri valori fondanti. Vogliamo valorizzare e rendere più consapevoli le realtà che incontriamo sulle nuove sfide ed esperienze che quotidianamente vengono attivate sui territori. Contribuiamo a raccontarli, costruendo uno storytelling sui progetti che incontriamo. In questo modo Fa’ la cosa giusta è diventata una piattaforma di divulgazione attiva tutto l’anno: il nostro obiettivo è che si crei una narrazione continua su questi temi.”

– Essere canali, essere traduttori del mondo.

 

Andrea Degl’Innocenti è co-fondatore di Italia che Cambia, progetto che si occupa di raccontare, mappare e mettere in rete online e offline realtà che si impegnano nel cambiamento. Ad oggi conta 18 reti, 1991 realtà mappate, spettacoli teatrali, libri e molto altro.

Andrea Degl’Innocenti

“La comunicazione è la chiave del nostro successo. Italia che Cambia è un giornale web nato circa 5 anni fa.  Erano gli anni della crisi dove ci raccontavano che o si faceva ripartire il PIL, crescendo a tutti i costi, o non ce l’avremmo fatta. Daniel Tarozzi, altro co-fondatore del progetto, da settembre 2012 ha esplorato per un anno l’Italia in camper, scoprendo moltissime iniziative e progetti  nati dal basso e che valevano la pena di essere raccontati.

Prima ancora di pensare a come comunicare la nostra esperienza dobbiamo però decidere cosa comunicare, qual’è la nostra essenza. Le esperienze che riescono veramente ad  apportare trasformazione nella società sono quelle che riescono ad applicare cambiamenti sistemici. Se riusciamo a creare nuove dinamiche virtuose e veramente cooperative all’interno di un qualsiasi progetto, associazione, azienda (etc) riusciremo a modificare anche l’esterno. E’ un processo complesso, ci sono poche esperienze, ma quelle che esistono, fanno davvero la differenza.

– Si tratta di costruire una nuova cassetta degli attrezzi.

 

Simona Castellani

Simona Castellani referente comunicazione, content strategy, sostenibilità d’impresa e formazioneFederazione del Bene Comune. 

Economia del Bene Comune è un movimento globale organizzato in reti nazionali attualmente distribuite in 26 paesi. Coinvolge migliaia di persone, oltre 100 gruppi regionali attivi in tutto il mondo e tavoli di lavoro transnazionali. In Italia oltre 100 aziende sostengono l’economia del bene comune.

Mission: “Può esistere un’economia post-crescita? Un’economia più sociale? Sussidiaria? Più equa, più solidale? Può esistere un’economia più democratica? EBC promuove valori che tendono a uno sviluppo positivo delle relazioni tra l’uomo e il suo ambiente sociale e naturale: fiducia, cooperazione, solidarietà, condivisione. Ha come scopo la trasformazione del quadro degli obiettivi degli attori economici, soppiantando la ricerca del profitto e della concorrenza con la cooperazione e il bene comune.”

“Obiettivo della federazione è il raggiungimento dei valori fondamentali della società. Questi valori sono simili a quelli dell’economia solidale. Vogliamo fare in modo che le leggi di mercato coincidano con quelle della società. La federazione aspira a un’economia che a livello nazionale adotti nuovi indicatori di benessere sociale. Cosa succederebbe se questo accadesse? I prodotti giusti e solidali diventerebbero più competitivi, mentre gli altri sarebbero destinati a scomparire. Nascerebbe un nuovo paradigma.

Noi promuoviamo il bilancio del bene comune: un modello di rendicontazione composto da un matrice compilabile con diversi indicatori. La logica è simile a quella dei disciplinari dell’ES. Per esempio, uno degli indicatori da valutare è il clima aziendale: come viene gestito il conflitto, come sono vissuti gli errori, la volontà di crescita del lavoratore viene presa in considerazione? L’imprenditore in questo modo si auto-valuta e contemporaneamente può divenire più consapevole di quello che succede nella sua azienda e dei punti sui quali potrebbe migliorare.

Abbiamo osservato che spesso le aziende nel comunicare la propria attenzione alla sostenibilità hanno il timore di essere eccessivamente autoreferenziali. Come si può fare a superare tale paura? Facendo in modo che altri parlino di sé o mostrando semplicemente alcuni risultati raggiunti, facendo emergere un’evidenza e lavorando sulla rendicontazione dell’impatto sociale.

E come facciamo a risolvere il problema dello scetticismo delle persone che non ci conoscono? C’è bisogno di una nuova narrazione per generare fiducia. Bisogna anche formare la domanda e orientarla alla sostenibilità. È necessaria una strategia, un metodo (piano editoriale) e degli obiettivi condivisi. Bisogna costruire credibilità e riconoscibilità intorno a un brand. Serve un filo conduttore.

– Importate è essere prima di raccontare. Se mi dici che sei sostenibile, poi me lo devi dimostrare.

– Non si fa sostenibilità per essere competitivi, si è competitivi perché si fa sostenibilità. 

 

Elisa Di Liberato Project developer di Fies Core– hub della cultura dentro Centrale Fies

Elisa Di Liberato

Cosa vuol dire fare cultura in un territorio? Noi ci occupiamo principalmente di arte. A primo impatto qui posso sembrare un pesce fuor d’acqua: non ci occupiamo di economia solidale e io non mi occupo direttamente di comunicazione. Però ci occupiamo di sperimentazione e ricerca artistica ma anche di sviluppo territoriale.

Come è nato Ultraviolet? Nel 2014 ci chiama il Comune di Dro con un problema: la susina di Dro sta scomparendo. Un prodotto autoctono, importante per la comunità, presente sul territorio fino agli anni ’70. Con il mercato globale molto è cambiato, sono arrivate le monoculture e questo processo ha impattato anche la coltivazione della susina. Ci hanno provato tutti a risolvere la questione e, alla fine, ci abbiamo provato anche noi con Ultraviolet.

Potremo dire che il territorio, l’attenzione alla sostenibilità e al biologico si fondano su un immaginario visivo. Come Fies Core, ci siamo chiesti se questo immaginario dovessimo continuare a cavalcarlo così com’era oppure se dovessimo e potessimo  ampliarlo e magari tradirlo per essere più dirompenti. L’immaginario ha una valenza, un potere incredibile all’interno di un territorio. E fare leva  sulla nostalgia è stato uno degli elementi  fondamentali per creare un nuovo immaginario intorno alla susina di Dro.

Abbiamo cercato di riconnettere tutti gli attori che lavoravano intorno al tema della susina e abbiamo firmato un protocollo di intesa per lavorare andando tutti nella stessa direzione.

Abbiamo aperto un contest, aperto a creativi provenienti da tutta Italia, per scrivere nuove mitologie sul prodotto, lavorando su un immaginario che andasse oltre ad ogni realtà esistente e che cercasse di soverchiare il conosciuto. Il nostro assunto era che nutrendo l’impossibile si potesse poi nutrire il possibile: scardinando completamente l’immaginario possiamo poi reinventare una narrazione nuova.

Tutto questo, e molto altro, è servito a far parlare della susina. Sono stati attivati foodblogger, cuochi, riviste del settore, e a un certo punto gli agricoltori hanno effettivamente cominciato a piantare nuovamente il susino. Un successo che ha creato molte reazioni a catena.

La filiera si era interrotta e le piante nei vivai non si trovavano più. Con la fondazione Mach siamo quindi ripartiti dalla filiera.

La cooperativa Valli del Sarca ha poi firmato un contratto di grande distribuzione. Gli agricoltori adesso guadagnano dalla vendita di questo frutto molto più di quanto non si sarebbero mai immaginati.

Rimane ancora molto da fare. Tutto questo inoltre potrebbe avere un impatto anche sul turismo e sul territorio in generale. Staremo a vedere, per ora siamo molto felici di aver dato inizio a questo processo.

L’obiettivo iniziale del progetto era mettere insieme i soggetti e il fatto che noi fossimo un soggetto culturale, e quindi apparentemente estraneo all’ambito agricolo, ha facilitato molto. Forse siamo stati – e siamo- un po’ alchimisti.

Secondo progetto molto interessante per il territorio e per il tema della comunicazione nei DES è Trentino brand new. Il progetto inizia nel 2016, nasce come laboratorio per creare nuovi immaginari territoriali, per scardinare quelli consolidati e utilizzati dalla comunicazione turistica. E’ interessante osservare come spesso gli abitanti di un luogo finiscono per leggerlo e percepirlo come la narrazione lo ha “confezionato” per il turismo.

Ad esempio nel 2016 non aveva nevicato quasi per niente, ma la comunicazione istituzionale e turistica continuava a trasmettere immagini che ritraevano piste da sci e montagne innevate. La nostra (e non solo) riflessione è stata che se fra vent’anni – a causa del cambiamento climatico- non nevicherà più: forse dobbiamo cominciare a prepararci a un turismo diverso e quindi aprirci a un immaginario e a una narrazione del territorio inedita? 

La crew che si è formata intorno al progetto, formata da persone decisamente diverse fra loro, ha cominciato a lavorare su queste tematiche, scoprendo potenzialità narrative territoriali molto forti e decisamente inaspettate e sulle quali varrebbe la pena soffermarsi e riflettere!”

 

Seconda fase della mattinata: plenaria

Disposti in cerchio e pronti all’ascolto reciproco, approfondiamo alcuni dei temi emersi durante gli interventi dei relatori.

Come posso andare oltre la comunicazione superficiale e il green washing generalizzato? Come alleno le persone allo spirito critico?

  • Attenzione alla distinzione fra comunicazione e informazione.
  • Bisogna stare più attenti, anche se a volte non lo siamo, per distrazione o per mancanza di tempo, è necessario  andare più in profondità nelle cose, non accontentandosi delle informazioni di superficie.
  • Domanda: sarebbe utili usare anche all’interno del DES una parte di comunicazione emotiva, una comunicazione relazionale?
  • Al di là del comunicare le qualità del prodotto, il valore aggiunto di una rete dell’economia solidale è proprio l’esperienza, la qualità della relazione fra il produttore e l’acquirente. Importante diventa quindi comunicarne la parte più genuina e la possibilità di un tipo di relazione diversa, più diretta e autentica. Questo aspetto va al di là dell’acquisto del prodotto in sé.
  • FIDUCIA è la parola chiave. Nel nostro mondo è cruciale. Serve molto per costruirla ma un attimo per distruggerla anche nei confronti di tutta la rete.

 

Un dogma: il prezzo. All’interno del prezzo del prodotto nel mondo dell’economia solidale c’è anche una parte di welfare. E questo va comunicato come un valore aggiunto, altrimenti dall’esterno ci continueranno a vedere come dei marziani. Il biologico non è più di nicchia, ma forse è ancora elitario. Come si può comunicare il plusvalore del prezzo?

  • Gran parte delle persone non sa cosa c’è dietro a un prodotto e se non ne conosce il plusvalore, continuerà a non comprarlo. Vi è già attenzione all’ambiente e alla salute come elementi di valore aggiunto, ma sono ancora poco narrati i valori del rispetto sociale e territoriale.
  • Esempio: SOS Rosarno coop per rompere il circolo vizioso “prezzo finale basso per pagare poco i lavoratori” hanno deciso di non partire da quanto li pagasse la grande distribuzione ma da quale fosse il prezzo giusto ed equo per un’arancia, ricostruendolo a ritroso. Il prezzo diventa quindi il loro punto di partenza e di forza nella relazione coi Gas.
  • L’esercizio della trasparenza non è da tutti, ma sicuramente paga e si gioca tutto sulla coerenza. Se un’azienda ha costruito la propria credibilità su determinati valori, il prezzo può diventarne un elemento fondamentale. La maggior parte delle persone non acquista avendo una consapevolezza vera di cosa compra (e sostiene) insieme al prodotto che si porta a casa. La sostenibilità si gioca anche sulla qualità dell’informazione che si offre al cliente. Sui prodotti si potrebbero aggiungere delle tabelle che indichino: tasso di obsolescenza, effetti sulla salute e sull’ambiente (quantità di energia grigia totale), filiera trasparente, sostenibilità dei lavoratori e impatto sociale. 

 

Dobbiamo uscire da una logica manichea dove ci percepiamo come i “buoni”. Nessuna realtà è perfetta e immacolata. L’errore è umano. Molto spesso tuttavia accade che quando una realtà aderente alla rete dell’economia solidale o della cooperazione sbaglia, crolla la fiducia nei confronti di tutti gli altri sostenitori.

  • Non credi che questo sia determinato anche dalla comunicazione esterna e dai media? Prendiamo l’esempio di mafia capitale: non è stato il sistema cooperativo a mettersi in discussione, ma il resto del mondo ha puntato il dito contro di esso. Forse la narrazione “dall’esterno” andava controbilanciata con una narrazione “dall’interno”, autocritica e supportata da dati.
  • Forse vale la pena rovesciare la narrazione: “non siamo buoni” e sopratutto non facciamo ciò che facciamo perché siamo solo buoni, ma ci sono molti altri valori dietro che vanno raccontati.
  • Mi viene in mente l’esempio sulla neve in trentino che Elisa di Fies Core ha fatto prima. Il problema è che cercando di comunicare una realtà complessa con con un’unica immagine, si perde la percezione d’insieme. A volte, anche nel caso della cooperazione sociale o del biologico, l’immagine che ne emerge è “di essere i buoni che fanno il bene” inevitabilmente in contrapposizione al male. Forse la sfida è dare più immagini, non sintetizzabili in un unico elemento, ma aprirsi a più narrazioni.
  • È molto importate uscire da questa dinamica bene-male, che è comunque un meccanismo competitivo. La realtà è che pur cooperando ad un certo grado, normalmente – e inconsciamente- tendiamo a spostare la competizione su un altro livello. Non dobbiamo avere un atteggiamento giudicante verso chi fa cose diverse da noi, ma rivolgerci e dialogare costruttivamente e con curiosità con chi sta al di fuori della nostra nicchia. La comunicazione – e soprattutto il modo in cui comunichiamo-  ha molto a che fare con la nostra identità e con la percezione che gli altri avranno di noi.
  • CONDIVIDERE: per me è faticoso dividere fra chi è dentro e chi è fuori. La condivisione funziona quando entrambi ci si guadagna.

 

Cerchiamo di far combaciare un’economia alternativa – e con valori diversi e solidali-  in un mercato tradizionale. Allora perché non pensare a una moneta complementare che comprenda tutti i valori dell’economia che ci interessa?  A livello comunicativo potrebbe essere una prospettiva interessante. Non una barricata appunto, ma una comunicazione.

  • Lo scambio monetario si basa sulla fiducia, forse è proprio questo che potrebbe fare la differenza: dare risalto alla fiducia al di là dello scambio.
  • La sfida è dimostrare e raccontare che è semplice fare un acquisto in un gas, bisognerebbe semplificarne la comunicazione.
  • Bisogna essere”candidi come colombe e scaltri come serpenti”. È giusto informare e porsi il problema del packaging, ma il tema è ancora prima: trovare il modo di farsi leggere. La nostra comunicazione deve essere quantitativamente e qualitativamente adeguata. Non possiamo essere ingenui nel comunicare.

 

Cerchiamo di riassumere quanto emerso in questa seconda fase sintetizzandolo il cerchio di condivisione in brevi slogan riassunti da Monica Margoni:

  • Il bio non è più una nicchia, ma non ancora se lo possono permettere tutti
  • Il prezzo è un elemento fondamentale
  • La fiducia basta un attimo per distruggerla, ma tanto per costruirla
  • Nessuno è perfetto
  • Cosa ci aiuta a distinguere il vero dal falso
  • Trasparenza, coerenza, credibilità
  • Siamo dentro a un sistema competitivo
  • Le aziende dovrebbero comunicare in modo trasparente
  • Non è per bontà che facciamo questo: su questo si dovrebbe basare una comunicazione
  • Tema della relazione: consumatore e produttore
  • La genuinità è un elemento su cui puntare
  • Costruire più immagini, non limitandoci al buono e cattivo
  • Smettere di identificarci come i buoni
  • La moneta come elemento di riconoscimento e comunicazione e non come barricata

 

Terza fase della mattinata: approfondiamo gli argomenti confrontandoci con gli esperti

 

Tavolo 1- Comunicazione e strategia con Simona Castellani – Federazione Economia Bene Comune

Se l’incipit dell’intervento di Simona in plenaria era stato quello della sfida di una nuova narrazione dei valori dell’economia solidale e di un’economia orientata al bene comune, nel lavoro di gruppo ci si è concentrati di più sulla strategia.

Si è riflettuto sul fatto che i protagonisti di un distretto di economia solidale possono contribuire a costruire una nuova narrazione partendo dalla chiara definizione del loro “perché” e della loro “motivazione”. Gli attori del DES possono impostare una strategia che, a sua volta, include la formazione di una domanda. Cosa significa? Occorre formare la domanda attraverso la ricerca (individuazione del profilo dei nostri potenziali clienti o persone che vogliamo coinvolgere) e la progettazione. Gli attori del DES non dovrebbero limitarsi a fornire informazioni sul prodotto/servizio in risposta ad una ricerca diretta (ad esempio la ricerca di prodotti biologici) bensì individuare i problemi/conflitti dei consumatori di riferimento. E qui si parla di problemi reali, ma che non sono strettamente legati al prodotto/servizio, al fine di fornire loro delle possibili soluzioni.

E qui si può fare l’esempio partendo dalla domanda “Che problema può avere chi va a fare la spesa?”. Risposta: “Detesto gli sprechi” (mi va a male la roba in frigo come conseguenza di un modo discutibile di fare la spesa). La soluzione che un produttore di frutta e verdura biologica può dare: contenuti di elogio di un GAS. Non elencando i prodotti che si trovano al Gas, ma spiegando quale stile di vita si cela dietro, che vantaggio ne traggo, diverse soluzioni utili e interessanti intorno ad un nuovo modo di vivere e consumare.

In sintesi, più il problema individuato è lontano dal mio prodotto, più possibilità avrò (io attore del DES) di produrre contenuti utili e interessanti per far scoprire il mio prodotto nel tempo, per far vivere la mia storia (filo conduttore dell’azienda), per farmi conoscere, per conquistare la fiducia del mio pubblico.

 

Tavolo 2: Italia che Cambia con Andrea degli’Innocenti

Ci si è immediatamente chiesti quali siano gli strumenti del cambiamento?

Come Andrea aveva accennato in plenaria per muoversi e agire con saggezza in sistemi complessi e non lineari –come la realtà e l’ambiente in cui viviamo- sono necessari ed imprescindibili alcuni elementi:

  • Innanzitutto, un riallineamento con la realtà grazie ad informazioni e dati il più oggettivi possibili
  • La volontà di stare nel processo senza avere aspettative e preconcetti sulle azioni da intraprendere
  • Mettersi in gioco confrontandosi con qualsiasi dinamica personale e di gruppo emerga
  • Un facilitatore di processo, esperto e formato
  • Progettare in risposta ad un bisogno reale e locale
  • Infine, agire come risultato del processo

In generale quindi un’attenzione al COME e non al COSA. L’accento sul COME permette quindi di creare “una scatola” in cui – nonostante la complessità e le variabili in gioco nel processo- si può creare uno spazio perché accadano cose diverse e vengano prese decisioni più sagge.

Andrea ci ha anche suggerito degli strumenti, applicabili in contesti diversi, per declinare questo COME:

 

Tavolo 3:  Fa la cosa giusta – Milano con Elena Acerbi

L’esperienza della fiera ha stimolato innanzitutto un paragone tra di Disciplinari ES e la carta dei criteri di FLCG. Entrambi servono per decidere “chi è dentro e chi è fuori”, trovare un minimo comune denominatore.

Rimane una grande varietà di espositori, una quota di non sovrapposizione va accettata, la pluralità è un valore. È una rete molto varia per dimensioni, struttura e interessi

La Fiera non costruisce rete ma ci sono contatti informali, reti locali, filiere. Dopo 16 anni non si fanno più sforzi per comunicarsi insieme, come unità, ma per comunicare le singole esperienze: alle diverse testate interessa solo la novità. Tutte le testate se sono un possibile contatto vengono prese in considerazione, e tutti i social, senza valutazioni di “vicinanza” o di opportunità, perché lo scopo è portare la gente in fiera, contaminare, uscire dal “tra di noi”, usare tutte le potenzialità. Vengono poi valutate le motivazioni di chi viene, con questionari, feedback dagli espositori e dagli organizzatori degli eventi.

Problema che si cerca di risolvere: come uscire dal “nostro” mondo e passare dal comunicare al dialogare.

 

Tavolo 4: Fies Core con Elisa Di Liberato

Prendendo spunto dall’esperienza di Fies Core sulla valorizzazione e la riscoperta della susina di Dro, uno dei partecipanti ha portato all’attenzione del gruppo le difficoltà di comunicazione di una cooperativa che si occupa di disabilità.

Seppur molto specifico, quest’intervento ha aiutato i partecipanti a considerare nuovi approcci applicabili nell’ambito della comunicazione.

Quale era il Problema iniziale?

Questa cooperativa, da anni promuove eventi ed incontri con lo scopo di trasformare la percezione del mondo della disabilità. Purtroppo però molte attività sembrano non aver incontrato l’interesse del pubblico.

Quali soluzioni possibili?

Gli input da parte dei partecipanti al tavolo sono stati molti, vista anche l’eterogeneità delle realtà rappresentate, e infine abbiamo individuato un comune denominatore: lavorare sull’inatteso.

Questo parametro sembra essere indispensabile per avere una comunicazione attrattiva ed innovativa. In aggiunta si è osservato come la contaminazione di mondi apparentemente “separati e lontani”, può portare ad un beneficio reciproco, specialmente in attività non ludiche.

La parte finale della conversazione si è poi spostata su una dinamica altrettanto importante: dare per scontato, quando si organizza un evento, che il territorio sarà interessato all’iniziativa.

E se questo non s’incontra la partecipazione del pubblico? Parte della “colpa” potrebbe risiedere nel fatto che prima di organizzare un evento non si indagano le effettive necessità di chi abita il territorio.

 

Il Workshop in un cartellone