Workshop 5 ottobre: “Come si fa rete in un DES?”

Workshop 5 ottobre: “Come si fa rete in un DES?”
12 Ottobre 2018 admin

Terzo Workshop: 

“Come si fa rete in un DES?”

 

 

Venerdì 5 Ottobre 2018 – Aula formazione Consolida – Trento

 

Anche per l’ultimo incontro del ciclo di workshop di DEStinazione economia solidale, i DES fanno il pieno di partecipazione con più di 30 presenti che vengono accolti  nell’aula formazione di Consolida. Dopo i saluti iniziali, (molto brevi perché ormai si è creato un gruppo stabile di lavoro) e una veloce restituzione della facilitatrice Monica Margoni sui focus emersi negli incontri precedenti, si entra immediatamente nel vivo.

Durante quest’ultimo appuntamento sono stati approfonditi 5 casi studio sulle “sfide del fare rete” con una modalità improntata alla simulazione: un breve racconto da parte degli esperti e poi la presentazione di una sfida o di una difficoltà che stanno incontrando nei loro progetti (e reti). L’intento è quello di raccogliere spunti, obiezioni e consigli dai partecipanti, attingendo alla cosiddetta intelligenza collettiva.

 

CAUTO (BS)

con Anna Baldacchini e Roberto Ranghetti

SFIDA: CEDERE IL TESTIMONE E COINVOLGERE LE AZIENDE

CAUTO è una rete di 5 cooperative che lavorano in sinergia tra loro occupandosi di inserimento lavorativo, economia circolare e benessere della comunità.

Ma sono i numeri a parlare della qualità del progetto Cauto: accade che 51 persone definite “marginali” dai servizi sociali siano leva per rimettere in circolo 14.000 tonnellate di vestiti che diversamente sarebbero diventati stracci da smaltire. O ancora che 5.000 tonnellate di derrate alimentari commestibili rifiutate dai supermercati vengano trasformate in pasto quotidiano per 7.000 persone. 500 lavoratori e lavoratrici impegnati nello svolgimento di 25 servizi differenti per la cura dell’ambiente, per la riduzione degli sprechi e la valorizzazione delle risorse.

“Nasciamo come coop B per l’inserimento lavorativo con l’intento di recuperare il cibo che andava sprecato nell’orto-mercato di Brescia: il cibo in esubero veniva dato a una mensa e questo ci permetteva di produrre un impatto ambientale e sociale positivo. Oggi ci sono circa 250 associazioni che ridistribuiscono gli esuberi. Nel 2015 nasce la rete delle cooperative. Cauto è la cooperativa madre alla quale si sono affiliate alcune cooperative e ne sono gemmate altre. Ad esempio: 

  • Cantiere Verde che si occupa di pulizia e giardinaggio del verde pubblico
  • Medicosmoody che recupera e rigenera residui ospedalieri

Cauto ha 500 dipendenti e più del 40% dei nostri colleghi appartengono a progetti di inserimento lavorativo, per questo abbiamo 13 operatori dedicati a seguire esclusivamente questi percorsi.

Speriamo che la cultura del dare lavoro a persone in difficoltà diventi patrimonio non solo delle coop sociali ma di tutte le aziende partendo da quelle con cui collaboriamo e confidando nella contaminazione. Siamo infatti nati con un’attività che mettesse al centro la persona e un’economia sostenibile, recuperando beni che avrebbero costituito spreco. 

Uno dei progetti di Cauto che stiamo cercando di implementare è il BANCO DI COMUNITA’ di Castiglione delle Stiviere: un luogo di scambio di beni, servizi e competenze. Non è una banca del tempo perché estende il concetto anche a beni e servizi. Il suo vero scopo è quello di creare rete e relazioni.

Quali sono i valori del Banco?

  • Valore ambientale: recupero di risorse che altrimenti andrebbero sprecate
  • Valore sociale: ogni persona può scambiare esperienze e competenze personali
  • Valore economico: il risparmio prodotto supporta le famiglie.
  • Principio di democratizzazione: per noi dare valore è dare un accesso ai beni in particolar modo a persone che necessitano un sostegno al reddito.

Ci siamo specializzati poi nella valorizzazione delle persone in condizioni di povertà relativa, segnalate dai servizi sociali o da associazioni. Per darvi un po’ di numeri, all’interno dei 335 soci del Banco di Comunità, 45 sono stati segnalati dai servizi sociali o da associazioni. 

Noi parametriamo gli scambi in F.I.L. (= felicità interna lorda): un’ora di tempo corrisponde a 50 FIL, che corrispondono a una sedia o anche a 2 kg di vestiti. 

Dal punto di vista logistico, abbiamo due piattaforme

  • una fisica dove teniamo oggetti e beni, selezioniamo le cose, scambiamo gli oggetti, accogliamo le persone
  • una informatica che raccoglie le richieste per via telematica e assegna i FIL

Le piattaforme sono organizzate come un circuito chiuso per tenere a bilancio i beni che entrano ed escono. Dopo un percorso formativo con le associazioni, l’amministrazione locale e i servizi sociali abbiamo stabilito che fosse  possibile effettuare scambi – di ore o beni-  associandosi al Banco di Comunità e ricevendo la Castiglione Card. 

Castiglione delle Stiviere conta 23 mila abitanti e 52 associazioni, di cui 12 diventate socie del Banco e 23 attive negli scambi, senza essere associate. Abbiamo anche  collaborato con le scuole per attività di sensibilizzazione che partissero dai più piccoli.

Ora siamo nella fase di cessione del testimone: subentrerà la Cooperativa Fiordaliso (coop A) nella gestione del Banco di Comunità, mentre Cauto continuerà a svolgere il ruolo di supervisione.

Alcuni numeri del Banco (in 3 anni di attività): 

  • 16% scambi effettuati in ore (20.000 ore) 
  • 33% in vestiti
  • 15% in mobili (300 mobili) 
  • 1500 oggetti di piccole e medie dimensioni e prestiti attrezzature 
  • Superato il milione di FIL di scambi

La preziosità di questo progetto è la diminuzione dell’attività assistenzialistica e l’aumento dell’attività di relazione (i soci partecipano a incontri, formazione, attivazione nel mondo del lavoro, etc).”

Dopo questa panoramica sul progetto, si apre l’intervento partecipato attraverso il metodo del fishbowl:

Quali sono i costi vivi del Banco? 12 ore a settimana un operatore del Banco e 2-3 ore a settimana per la parte organizzativa e gestionale, praticamente un part-time di 15 ore. Oltre a questo abbiamo i costi dell’assicurazione dei soci e affitto dello spazio.

Tutti gli scambi sono in FIL? 

Si non c’è nessun tipo di transazione in denaro.

Perché la sfida con le aziende?

Ci piacerebbe che anche i singoli e le aziende possano entrare nella gestione del Banco per fare in modo che non sia il progetto della cooperativa X o Y ma diventi un progetto di tutti. Il coinvolgimento delle aziende non deve diventare ‘ti do lo scarico di magazzino lo sfrido e così risparmio perché non devo pagare qualcuno che se ne occupi’. Ovviamente, operiamo anche una selezione: se tu mi porti 100 oggetti ma non posso scambiarli non li prendo.  Stiamo vagliando tipi di collaborazioni con le aziende che siano più strutturati e centrati sul welfare. Cauto deve facilitare le relazioni e gli intrecci. Inoltre noi non abbiamo ancora mai pensato allo scambio economico ma non è detto che in un futuro non si possa prendere in considerazione.

Qual è il ruolo dell’amministrazione pubblica? 

Stiamo cercando di valutare l’impatto economico e il bilancio di competenze perché l’inclusione di 45 persone in condizione di povertà relativa porta per l’amministrazione una riduzione della spesa sociale. Ad esempio: la  socia tesserata numero 76 ci  ha conosciuti perché,  quando si è rivolta ai servizi sociali per chiedere dei servizi,  loro la hanno invitata a iscriversi al Banco. Poi c’è anche una riduzione della spesa legata ai rifiuti destinati all’isola ecologica. Cerchiamo anche di calcolare il peso in kg del rifiuto e il risparmiato nel circuito di scambio. Finora abbiamo calcolato un risparmio di 180.000 euro in tre anni.

Un’altra sfida è il Banco del Riuso di Franciacorta che è stato aperto a febbraio 2018 e comprende 7 comuni, collegando il profit con il no-profit e le amministrazioni pubbliche.

Qual’è il costo delle transazioni e di gestione dello strumento informatico? 

Abbiamo un ufficio informatico con 12 persone e abbiamo un ufficio di sviluppatori che ha gestito e creato il software, che è cedibile. Abbiamo studiato una forma “di franchising” che però va supportata da una parte formativa e di accompagnamento per chi volesse acquistarlo.

Ma è solo un distretto di risparmio o di economia?!  

E’ un nuovo modello di consumo su cui si può strutturare del welfare generativo. Noi produciamo servizi, ma dobbiamo anche produrre prodotti. Vi sono poi persone che hanno beni e si scambiano competenze. Perché non usano l’euro non è economia? Eccome se è economia!

 

MERCATO ECONOMIA SOLIDALE di TRENTO

con Roberto Brugnara di Azienda Agricola Sant’Andrè

 ed Egizia Simonini di Azienda Agricola Simonini Fausto – Maso Cengi

SFIDA: ALLARGARE LA PARTECIPAZIONE E COMUNICARE IL PROPRIO VALORE AGGIUNTO

“Siamo partiti nel 2016 in 13, su 14 stalli,  con il mercato settimanale del giovedì in Piazza Santa Maria Maggiore, collegato al mercato settimanale cittadino. Ora purtroppo il numero si è dimezzato. La difficoltà più grande è proprio far rete. Siamo tutti agricoltori che hanno poco tempo per fare, ad esempio, anche una semplice riunione. Siamo facilitati in questo dal supporto della segreteria del Tavolo dell’economia solidale che ci organizza le riunioni. Ciò che ci caratterizza come esponenti dell’Economia Solidale e ci differenzia dal mercato cittadino è proprio la capacità di essere rete e agire insieme, anche se abbiamo ancora grandi difficoltà al rispetto. Facciamo anche difficoltà ad allargare la partecipazione e a comunicare il nostro valore aggiunto, ma sappiamo che potremmo e dovremmo essere un vettore d’informazione e formazione.”

SINTESI INTERVENTI DEI PARTECIPANTI

È vantaggioso avere un luogo dedicato al MES rispetto a essere inseriti nel mercato ordinario?

Come MES nasciamo anche in un’ottica di riqualificazione forte del quartiere che ruota intorno a Piazza Santa Maria Maggiore a Trento. Tuttavia abbiamo chiesto al Comune di essere spostati in una zona con maggior afflusso e visibilità. Il dubbio è: dentro o fuori al mercato cittadino? Secondo alcuni di noi metterci vicino a un mercato ordinario ci farebbe perdere di valore: magari venderemmo di più ma la gente non percepirebbe più la differenza.

Il sabato mattina in Piazza Dante il mercato non è del biologico ma vi è una parte dedicata ad esso. Avete pensato di poter essere presenti lì?

Il nostro prodotto è anche veicolo di cultura, fiducia e informazione. Potrebbe essere una possibilità interessante.

Dall’esterno noto come sembri mancare un’idea di rete più complessiva, al di là del prodotto biologico. Siete poi sicuri che farlo allo stesso giorno del mercato cittadino non sia invece uno svantaggio e che invece non vi rubi clientela? 

Vi do uno spunto di riflessione. Noi gasisti abbiamo difficoltà a reperire il fresco. Vorremmo avviare un dibattito dentro la fiera Fa’ la cosa giusta! per vedere se è possibile creare una PDO (= piccola distribuzione organizzata, bypassando la grande distribuzione); inoltre l’associazione l’Ortazzo sta per fare una CSA (= comunità a supporto dell’agricoltura) e vorremmo chiedere qualche consiglio a loro. Anche all’interno del MES potreste prendere in considerazione questo aspetto.

Come MES dovreste incentivare la comunicazione del vostro valore aggiunto (numero assunti, valore economico generato, impatto ambientale, risparmio economico, welfare prodotto). Questi distretti spesso si definiscono solo come distretti alimentari e bisognerebbe uscire da questa logica. Il mercatino è di nicchia. Bisognerebbe pensare a un “centro commerciale” dell’economia solidale.

CAUTO: noi abbiamo dovuto spiegare qual’era il vantaggio di unirsi a noi. Per stimolare la partecipazione forse dovete comunicare meglio i vantaggi che comporta l’affiliazione a MES e offrire una logistica di opportunità. Sono percorsi lunghi. Il mercato per voi dovrebbe essere solo una vetrina ma se l’obbiettivo è la vendita dovete puntare più dei GAS e CSA. E potreste puntare sulla formazione di opinion leader interni, che trascinino gli altri e favoriscano una maggiore partecipazione. Un’altra chiave è lavorare bene sui pochi che già credono in voi in modo che poi trascinino gli altri. 

 

NUTRIRE TRENTO

con Francesca Forno – Università degli Studi di Trento

SFIDA: COME ESTENDERE L’ACCESSO A UN CIBO SANO PULITO E GIUSTO ANDANDO OLTRE UNA STRETTA NICCHIA?

Nei miei studi, una tematica a cui ho dedicato molta attenzione è il consumo critico, sia nelle sue forme individuali, che in quelle collettive (come i Gas). Ho peraltro potuto conoscere da vicino queste pratiche e questo mondo avendo sempre fatto dialogare la mia ricerca con l’esperienza delle reti di economia solidale, in primis a Bergamo, dove ho lavorato e vissuto per tanti anni, ma anche prendendo parte per anni alle attività del Tavolo Nazionale della Rete di Economia Solidale.

Quando mi sono trasferita a Trento, il mio lavoro di ricerca era noto. Alcuni sapevano anche del progetto Bergamo Green che ho ideato e coordinato, un progetto a cui hanno collaborato l’Università e il Comune di Bergamo e che oggi coinvolge molte realtà di quel territorio come la Rete di Economia Solidale locale Cittadinanza Sostenibile. Di qui la richiesta di coordinare un analogo progetto per conto dell’Università e del Comune di Trento: Nutrire Trento.

In generale nell’ambito del consumo alimentare si stanno sviluppando due opposte tendenze: da un lato cresce il consumo di cibi pronti, che si consumano velocemente; dall’altro cresce il consumo di alimenti biologici e a KM0: al “fast” si oppone lo “slow” food. Di qui anche il mio interesse per il fenomeno dei Gas, le loro pratiche e motivazioni. Le ricerche che ho svolto su questo argomento indicano chiaramente come i “gasisti” abbiano un profilo socio-economico definito e piuttosto omogeneo. Interessano infatti un ceto medio con alta scolarizzazione, spesso si tratta di lavoratori nel settore pubblico o comunque in lavori impiegatizi, molti sono insegnanti. Molto spesso i Gas sono individuati come “nicchie di innovazione”, proprio per la loro capacità di diffondere e innovare non solo le pratiche di consumo consapevole, ma anche le pratiche di economia solidale, sostenendo e diffondendo le filiere corte riconoscendone la funzione e valenza sia sociale che ambientale.  I Gas sono stati importanti per stimolare una riflessione rispetto alle pratiche produttive e per diffondere il cosiddetto “voto con il portafoglio”. Sono contesti di co-educazione che funzionano come una sorta di “palestre di apprendimento”:

  • informano e sostengono la produzione sostenibile di cibo
  • spingono alla razionalizzazione della logistica
  • rappresentano nicchie di innovazione all’interno delle quali si sviluppano nuovi immaginari
  • diffondono e praticano la dieta sostenibile (chi partecipa a questi gruppi aumenta il suo consumo di prodotti biologici, locali, mentre diminuisce quello della carne).

I dati a disposizione mettono in evidenza però anche come i Gas sembrano avere raggiunto buona parte di quella fascia di popolazione all’interno della quale si sono diffusi. Nell’ambito della nostra ricerca, a un certo punto, abbiamo iniziato quindi a chiederci: cosa possiamo imparare da queste esperienze? “Nutrire Trento” nasce con l’idea di creare uno strumento a disposizione di tutti coloro che abitano la città che faciliti l’acquisizione di informazioni e di sensibilità, in cui le diverse esperienze già presenti sul territorio si possano presentare e confrontare: i Gas, i mercati a filiera corta, i piccoli produttori e commercianti che mettono a disposizione prodotti a filiera corta, gli orti urbani, etc.

Quali strategie si devono usare per andare oltre la nicchia?

L’idea sviluppata a Bergamo è stata quella di pensare a una forma di “marketing comunitario”, volto alla promozione non di una attività singola o specifica, ma di una molteplicità di attività che condividono obiettivi comuni sostenibili. E anche “Nutrire Trento” mira a informare e sensibilizzare al consumo consapevole un maggiore numero di persone, favorendo l’informazione e la sensibilizzazione alla produzione e consumo sostenibile di cibo, stimolando anche una razionalizzazione della logistica, favorendo la creazione di reti di filiera. Nutrire Trento ha l’obiettivo di creare una “piattaforma” comune a disposizione della cittadinanza che, oltre ai soggetti già mobilitati, riesca a coinvolgere anche le scuole, l’Università, i Comuni e le altre istituzioni. Come attore “terzo”, l’Università mette a disposizione le proprie competenze nella raccolta e analisi dei dati, ma anche nella mediazione dei conflitti e sull’azione collettiva.

Certo il processo è complesso e non privo di ostacoli: come si controllano le autocandidature dei possibili aderenti a Nutrire Trento? Quale ruolo può o deve avere la grande distribuzione (GDO) in progetti come quello di Nutrire Trento, soprattutto considerando che comunque anche i ‘gasisti’ non esauriscono tutta la loro spesa nell’ambito del proprio gruppo e molto spesso la maggior parte utilizza comunque il supermercato per la spesa quotidiana (dalle stime dell’Osservatorio Cores, in media i Gas spostano sui circuiti alternativi solo il 13% della propria spesa).

Il dibattito si apre con una considerazione di Sergio Venezia che racconta che per definire una “politica d’inclusione” e per definire i criteri di candidatura a Parma si è scelta la strategia delle “4 P”:

  • Prodotto
  • Processo
  • Progetto
  • Partecipazione

Chi voleva entrare a far parte di DES PARMA doveva infatti presentare una scheda-progetto per ogni P. Quali sarebbero le 4P della grande distribuzione?

Continua Sergio Venezia: “Se è vero che in media un gasista sposta il 13% della sua spesa sul gruppo d’acquisto e la restante parte la fa ancora al supermercato, bisogna però prestare attenzione perché quelli come me vogliono cambiare radicalmente il modello economico non modificare leggermente quello esistente. È evidente che questo mercato non sta funzionando. E solo la PDO (Piccola Distribuzione Organizzata) può creare relazione mentre la GDO può creare economia solo pagando poco i contadini”.

Per Francesca Forno si deve usare nei riguardi del GDO una strategia diversa rispetto a quella dello scontro frontale, anche perché oggi ci sono diverse difficoltà. Ci sono settori come il Commercio Equo e Solidale, ad esempio Altromercato, che stanno attraversando grandi difficoltà: molte botteghe del mondo stanno chiudendo e questo spinge a trovare nuovi canali di vendita, non proprio coerenti con i propri principi (ad esempio si è molto parlato della scelta di Altromercato di vendere i propri prodotti su Amazon). Gli stessi consumatori organizzati (GAS, DES ecc.) devono riconoscere che le loro scelte stanno influenzando anche la grande distribuzione organizzata. Il consumo critico deve continuare a fare pressione anche sulla GDO per spingerla via via a scelte sente più conformi alla logica dei Gas (avere più prodotti bio, ma anche confezionati in modo ecocompatibile, meno sprechi, più prodotti locali con filiere certificate, anche rispetto al trattamento dei lavoratori). I grandi cambiamenti avvengono attraverso processi graduali. Alle volte essere troppo radicali può portare a ridurre ancor di più la nostra capacità di influenza. I movimenti devono confrontarsi per contaminare, il rischio altrimenti è dirsi le cose sempre tra chi quelle cose già le fa.

 

DIS.TER DI COOPERATIVA SOCIALE ALPI

con Silvano Deavi

SFIDA: ABBIAMO CREATO LA RETE DIS.TER:  ORA DOBBIAMO RIPROGETTARCI?

Dis.Ter è il primo Distretto Industriale Solidale del contoterzismo trentino: è un sistema che permette di rispondere al contempo ai bisogni sociali di inserimento lavorativo e alle esigenze produttive del comparto industriale. La cooperativa Alpi raccoglie grosse commesse e le ridistribuisce su una rete costituita da 26 soggetti. Il punto di forza è la capacità organizzativa. In questo modo si fa lavorare tutti spostando risorse dal socio assistenziale al socio produttivo.

“Per Dis.Ter è stato firmato un nuovo patto per lo sviluppo; nuovo perché si sono seduti allo stesso tavolo:  Confindutsria, Trentino Sviluppo,  il Comune di Trento, sindacati e cooperative. E’ stato fatto un investimento di due milioni di euro, per metà messo da Alpi, e grazie al quale abbiamo creato una piattaforma logistica, che gestisce e monitora una rete capillare di 26 laboratori. Oggi abbiamo 350 lavoratori che con varie forme contrattuali ( dal tempo pieno alla borsa lavoro) stanno dentro il sistema produttivo. Abbiamo così portato a livello industriale del contoterzismo (=assemblaggio) il tema della filiera.

La sfida è:  qual è il passo successivo? La cooperativa è nata da 20 anni il distretto da 3: aumentano il numero di persone coinvolte e i clienti ma servirebbe un passo ulteriore. Considerate inoltre che in Trentino il tessuto industriale è più rarefatto. Non stiamo parlando di un territorio come il Veneto o la Lombardia in cui la tradizione e lo spessore del settore industriale è tutt’altro. Anche per questo Stiamo pensando perciò di guardare al mercato dell’Alto Adige”.

Sergio Venezia risponde: “manca un fondo comune di sviluppo per l’autopoiesi, ossia l’autogenerazione interna delle reti. Noi con CO-energia abbiamo un salvadanaio comune dove ogni socio e ogni consumatore mette l’1% . Poi si fa un assemblea per decidere come usare il fondo, sempre con finalità solidali o, per l’appunto, di rafforzamento della rete”.

 

DESBRI

con Sergio Venezia, tra i fondatori del DESbri in Brianza ed esperto di patti solidali. L’intervento di Sergio Venezia, come era stato per quello di Paolo Cacciari nel primo incontro, ha il compito di mettere un po’ in ordine le idee e dare delle indicazioni di “visione” e di “azione”.

SFIDA: DALL’ATTENZIONE AI “NODI”, ALL’ATTENZIONE AI FLUSSI

“Voglio iniziare menzionando Euclides Andrès Mance che è il personaggio che ha ispirato l’economia solidale italiana. Nel 2002 al Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre, il cui slogan era “another world is possible” (un altro mondo è possibile) si è iniziato a parlare in termini non solo di protesta ma anche di proposta.

Due testi in particolare mi sento di consigliare di Euclides:

  •  La rivoluzione delle reti. L’economia solidale per un’altra globalizzazione (2003)
  • Circuiti economici solidali. Economia di liberazione (2017) 

Come DES Brianza abbiamo lavorato molto sui nodi e sulle 4P ma dobbiamo guardare ancora bene ai flussi (di informazioni, relazioni, denaro, prodotti e servizi).  L’unica ricchezza che questo tavolo davvero ha sono le relazioni: il capitale sociale. È l’unico capitale su cui può puntare, non avendo capitale economico. E le relazioni vanno condivise e coltivate. Perché se non si curano le relazioni (e intendo anche e soprattutto mediazione dei conflitti) ci etichettiamo e passiamo il tempo a vedere “chi è più puro di chi”.

Una volta definiti i principi – di importanza fondamentale – le relazioni sono l’unica ricchezza che abbiamo. Dobbiamo coltivarle come una piantina fragile. L’ Economia solidale Trentina vuole inglobare mondi partendo da principi. Ci vuole un’economia altra, non alternativa,  perché abbiamo detto che non è facile. Come suggeriva Cacciari nel primo workshop, dobbiamo farle il verso ai distretti industriali! La sua provocazione è giusta. La carta RES è la magna carta dell’economia solidale italiana. La carta RES è la magna carta dell’economia solidale italiana E poi abbiamo la carta dell’Aquila con le dieci colonne dell’economia solidale.

Ma definiti i principi bisogna capire come comunicare  flussi. Coltivare le relazioni significa anche gestire i conflitti. I conflitti sono ricchi di informazioni che a volte si scambiamo in maniera errata. t

Secondo punto. Tutto il nostro mondo è basato sulla legge dell’offerta. Noi dobbiamo partire dalla domanda (questo perché evita sprechi e maggior economia e tutela ambientale).

Dalla nostra filiera del pane siamo partiti dalla domanda. Abbiamo chiesto ai gas di quanto pane avessero bisogno e da lì siamo passati all’acquisto dei terreni, alla ricerca dei mulini, dei panificatori etc. La nostra pagnotta costava 2 euro e venti al chilo (biologico pasta madre farina integrale). E siamo riusciti a fare un utile del 5%. Allora aveva ragione Euclides. Partire dalla domanda premia.

Tra poco lo porteremo nelle mense scolastiche. Però per ogni nuova idea ci vuole:

  • fiducia
  • tempo
  • cura delle relazioni

C’è una relazione col mercato libero: certo però dobbiamo mantenere un rapporto chiaro. La gente che entra oggi nei gas vuole due cose: prezzo basso e alta qualità. Attenzione c’è bisogno che le botteghe del commercio equo e solidale o dell’economia solidale “vendano” qualcosa di diverso. E ancora questa cosa è la relazione. Perché nel 2017 la GDO ha superato la vendita della piccola distribuzione nel biologico. Se ti concentri solo sulla P del prodotto sei finito. Tutti stanno andando sul biologico. Il gasista che è entrato perché vuole prezzo basso e alta qualità andrà al supermenrcato.

E’ un problema perché la produzione italiana non regge la domanda. Ora la mia cooperativa che fa pasta ha il 30 % in meno sui gas. Quel salvadanaio di utili abbiamo dovuto romperlo per mantenere i posti di lavoro. I gas mangiano meno pasta perché è cambiata la dieta? (glutine) certo, ma in realtà è perché i gas si sono rivolti alla GDO.

 

Quali tipi di relazione dentro l’economia solidale?

1° livello: consumo critico con contratto. Produttori e consumatori si studiano sospettosi.. non esiste una vera relazione forte.

2° livello: il patto solidale: Le parti si conoscono si mettono nei panni dell’altro e riconoscono le reciproche difficoltà

3° livello: si riconosce l’interdipendenza che ci salva assieme e anche la forma giuridica è una sola (CSA, Food Coop).

La fiducia deve essere condivisa. Un bambino da crescere lentamente.

Gli ingredienti del patto:

  • Comunione di intenti
  • Definizione dei costi trasparenti di filiera
  • Valutazione delle criticità delle parti
  • Pre-finanziamento o caparra di acquisto
  • Condivisione del rischio d’impresa
  • Modalità di logistica e trasporto
  • Definizione di Fondo Solidarietà e Futuro
  • Destinazione concorde di FSF

Bisogna infine tener presente che con il concetto di “impresa sociale” la vecchia classificazione dei tre settori viene scardinata. L’impresa sociale include le cooperative sociali, ma anche altri tipi di imprese che scelgono di offrire beni comuni e di impiegare in maniera non privatistica tutti gli eventuali profitti. In questa prospettiva, i “nessi di contratti” che si creano in un DES tra risparmiatori, consumatori e produttori, sono imprese sociali “ (Bellanca – L’Aquila 2011). Non abbiamo più da una parte gli offerenti e dall’altra gli acquirenti. Piuttosto, l’impresa che accetta di partecipare a un DES sta in effetti accettando di ‘fare impresa sociale’ con risparmiatori, consumatori solidali e amministrazioni sensibili.

 

Il Workshop in un cartellone

MATERIALI DI APPROFONDIMENTO (slide relatori)