INTERVISTA A GIUSEPPE: UNO DEI TRE FONDATORI DI VAIA

INTERVISTA A GIUSEPPE: UNO DEI TRE FONDATORI DI VAIA
19 Luglio 2023 admin

Nell’ottobre 2018 Federico, il fondatore di VAIA, assiste agli effetti catastrofici della tempesta che si abbatte su Pergine e le sue montagne. Scopre sulla sua pelle la gravità e la tangibilità dei cambiamenti climatici in atto, ma si rende anche conto che bisogna agire per svegliare la coscienza collettiva. Alla domanda “come?” risponde con l’idea di produrre un oggetto iconico. Una piccola cassa per smartphone in grado di amplificare il messaggio sul tema ambientale. Un prodotto realizzato con una materia prima finora inutilizzata: il legno caduto durante la tempesta. Federico allarga gli orizzonti territoriali, coinvolge gli amici Paolo, veneto, e Giuseppe, siciliano, e nel novembre 2019 i tre, freschissimi di studi universitari, fondano VAIA srl.

 

Di VAIA e della sua particolare visione d’impresa parliamo con Giuseppe, che dei tre soci è quello che si occupa di marketing e comunicazione.

 

Che tipo di impresa è VAIA?

Anzitutto un’impresa indipendente. Nasciamo in modo autonomo, senza il supporto di nessuno, ma con la soddisfazione di poter dire: faccio le mie scelte e vado avanti per la mia strada. Questa componente per noi è molto importante. In secondo luogo, VAIA è una “start up innovativa a vocazione sociale”, questa è la definizione formale. Vuol dire che la nostra motivazione, riconosciuta, non è soltanto economica. È sociale, perché collaborare con gli artigiani e rispettare la filiera significa anche questo, ed è ambientale, dal recupero del legno fino alla messa a dimora dei nuovi alberi. Da quando Federico, dopo aver visto gli effetti imprevedibili e violenti della tempesta che ha distrutto i luoghi della sua infanzia, ha contattato me e Paolo per proporci la sua idea, l’idea è diventata un progetto, il progetto una start up e in tre anni siamo riusciti a spedire dalla Valsugana 40.000 mila Cube in tutto il mondo e abbiamo messo a dimora 30.000 alberi. L’obiettivo è di arrivare a 50.000 entro la fine del 2021. Il nostro modello di business si basa su questo: ogni vendita di Cube rappresenta un albero piantato e quindi per noi crescere è importante, se vogliamo operare nelle zone colpite dalla tempesta. 

 

Quindi c’è una relazione diretta tra Cube venduti e alberi che piantate. 

Certo. Chi acquista sa che per ogni cubo venduto si pianta un albero e questo ci permette di avere obiettivi chiari, di essere trasparenti. È fondamentale, con le persone che decidono di far parte della nostra community, poter dire che insieme stiamo facendo qualcosa di importante, stiamo avendo un impatto sul mondo.

Mi spieghi come avviene questa “restituzione”?

In modo scientifico e comunitario. Collaboriamo con ETIFOR, uno spin-off dell’Università di Padova e partner FSC, che ci guida nelle piantumazioni, che sono momenti aperti al pubblico. Piantumare significa ripulire il luogo dalle piante schiantate e mettere a dimora specie autoctone come ad esempio il larice, rispettando ovviamente anche la biodiversità che c’è in quei luoghi, e poi tutto quanto riguarda la manutenzione e la cura della piantina. E collaboriamo anche con le Asuc e con gli enti forestali. Nell’ultima piantumazione fatta in Friuli Venezia Giulia, nel comune di Claut (Pordenone), abbiamo coinvolto la forestale. Le nostre piantumazioni hanno sempre a cuore le comunità locali, coinvolte in tutte le azioni di ripristino dell’equilibrio degli ecosistemi che compongono le Dolomiti. Del resto, nessuno di noi è un forestale, abbiamo altri background e di conseguenza affidarci ad esperti è fondamentale.

 

Voi che background avete?

Federico e Paolo hanno studiato Economia e management a Ferrara mentre io ho fatto Comunicazione e marketing a Milano.

 

Le piantumazioni, quindi, sono fatte in collaborazione con le comunità locali e l’area di riferimento è quella colpita da Vaia. In quali zone avete finora piantumato? 

Altopiano di Pinè, val di Zoldo, altopiano della Marcesina… i territori in cui abbiamo messo a dimora più alberi sono sicuramente il Trentino e, subito dopo, il Veneto. Abbiamo appena fatto una prima piantumazione in Friuli Venezia Giulia e l’obiettivo è quello di farlo in tutte le zone colpite dalla tempesta, quindi anche in Lombardia, dove ci sono zone che sono state coinvolte.

 

Si sa che la tempesta Vaia ha avuto determinati effetti anche a causa di una prevalente monocultura dell’abete rosso. Nella ripiantumazione vi ponete questo tipo di problema?

Quello della monocultura degli abeti rossi è un tema reale. Quella notte gli alberi sono stati schiantati più facilmente di quanto sarebbe accaduto in presenza di boschi misti. Posto che noi non vogliamo fare distinzioni tra albero e albero e sulla loro importanza, stiamo lavorando con ETIFOR allo scopo di aumentare la biodiversità. Ad esempio, nell’ultima piantumazione abbiamo piantato anche faggi e aceri. È sicuramente più facile piantare abeti che altre piante, ma noi comunque cerchiamo di aumentare la biodiversità piantando specie diverse. Tra l’altro, ed è un aspetto importante, quando possiamo privilegiamo i larici, perché hanno un apparato radicale più profondo, prevengono in modo migliore il rischio idrogeologico stabilizzando il suolo e distribuendo l’acqua piovana. Questo punto per noi è molto importante. 

 

Da dove proviene il legno che usate per i Cube? È sempre legno di risonanza o non solo?

Anzitutto precisiamo che la cassa del Cube è realizzata con abete rosso mentre per il corpo viene usato il larice. Buona parte di questo legno proviene dalla Val di Fiemme, e parte quindi anche dai boschi che sono la culla del legno di risonanza, ma fondamentalmente non ci sono grandi differenze in termini di resa sonora tra i vari tipi di abete. L’ottima amplificazione del Cube è data soprattutto dalla conformazione del cono, che direziona il suono e lo convoglia.

Dove si vende maggiormente il Cube?

Il 95% del mercato è italiano e di questo più del 50% proviene dal nord Est, cioè dalle zone colpite da Vaia. Registriamo però ordini da ogni parte del mondo (dagli altri paesi europei, dagli Stati Uniti, da Brasile, India e Giappone…). Sono persone che ci hanno conosciuto attraverso il passaparola, perché noi non facciamo comunicazione, se non qualcosa in inglese. Evidentemente, la bontà del progetto e del prodotto sono percepite in quanto tali anche fuori dall’Italia.

 

Avete intenzione di realizzare altri prodotti di design di questo genere?

A fine ottobre lanceremo un secondo oggetto, che si chiamerà Vaia Focus. È un amplificatore visivo per smartphone realizzato con legno di abete (non con il larice) e con un secondo componente, una lente chiamata Lente Fresnel, prodotta da un’azienda bergamasca, che ha questa capacità di ingrandire, amplificare l’immagine dello smartphone, in modo naturale. Siamo molto convinti di questa scelta: per noi significa dare vita a un oggetto estremamente affascinante, che ci porta dal suono alla visione, che racconta del modo in cui immaginiamo un mondo diverso. In futuro prevediamo anche altri oggetti, ci stiamo lavorando, ma per rispondere alla tua domanda aggiungerei il fatto che la nostra vision ci spingerebbe a intervenire in altri luoghi con problematiche ambientali, recuperando materia prima, coinvolgendo attori locali in una filiera e creando un impatto positivo e concreto sull’ecosistema. Insomma, crediamo che il nostro modello sia implementabile e scalabile anche in altri luoghi. Oggi siamo sulle Dolomiti, ma nulla ci vieta in un domani di essere altrove. Ad esempio in Puglia, a lavorare con gli ulivi colpiti dalla xilella in “stile” Vaia. E non necessariamente in luoghi colpiti da calamità naturali: potrebbero essere interessanti anche luoghi dove ci siano sprechi di materie prime, territori da rigenerare. Nuove sfide, insomma.

 

(a cura di Stefano Albergoni, 11.10.2021)